Quando sei deluso da qualcosa hai davvero bisogno di tempo per metabolizzare e guardare le cose "da un'altra prospettiva"?
Dubbio atroce, lo ammetto. Così ho fatto un esperimento.
Ho guardato IL GIOVANE FAVOLOSO, per tutti e 137 i minuti compresi i titoli di coda. Poi ho spento la tv, sono andata a dormire, e ho lasciato passare quasi un mese per vedere "l'effetto che fa".
Niente. Sono ancora incazzata.
Mi è rimasta dentro quella sensazione che non è più rabbia, si sta evolvendo, trasformando in delusione, nella sensazione che qualcosa sia andato sprecato, un'occasione sia stata gettata via con una presunzione tutta italiana.
Vero è che ora ho più elementi per guardare la cosa da diversi punti di vista, posso tentare di salvare il salvabile, mentre un mese fa avrei solo buttato là una parolaccia e fine della storia. Ma proprio non riesco a salvare questo film.
Io ho studiato al classico, sai, e per alcune insegnanti parlare di Leopardi era come andare al concerto dei Nirvana per una groupie, quindi ho sempre avuto tanta simpatia per questo gobbetto perennemente depresso ( e come dargli torto!). Bada, ho detto depresso...
E invece in questo film, osannato a Venezia, vincitore di numerosi premi in giro per il mondo il nostro Leo si trasforma in un patetico gobbo infantile e lasciami dire, quasi autistico.
Pur rispettando gli eventi che maggiormente hanno influenzato la sua vita, i suoi spostamenti da una Recanati soffocante a Roma e infine a Napoli, pur cercando di raccontare l'oscurità che avvolgeva la sua anima, tutto è reso patetico.
Elio Germano in una scena del film |
Una condizione dell'anima così fragile e affascinante come quella che affliggeva lo scrittore, la sua stessa fragilità viene distorta e inglobata, oscurata da tic e nevrosi infantili e direi quasi patologiche. Pulire la coscienza inserendo qua e là alcuni versi è ancor peggio, poiché la loro armonia, il profondo sentimento e il profondo disagio che ne hanno fatto vedere la luce, ogni parola cozza con l'immagine che viene data dell'autore. Un'occasione perduta appunto.
Elio Germano è l'unica nota positiva di tutto il film, rende con esemplare maestria l'immagine del poeta, fa quello che può, si vede, ma da solo non può salvare un prodotto in cui , credo, è sbagliata l'impostazione fin dal principio.
E così, mentre guardo le foglie autunnali cadere giù mi lascio trascinare da questo triste mood e mi chiedo solo una cosa,che poi è la domanda delle domande: possibile che il nostro cinema debba essere per forza questo? Che debba essere per forza o volgare o patetico o solo per pochi eletti?
Abbiamo perso il dono di sapere far ridere senza mostrare fondoschiena o seni prosperosi o di far riflettere senza scadere nel già visto o nel patetico...o solo il dono di raccontare è quello che è venuto meno?
Domanda importante, risposta complicata. Forse si o forse no. Se ci penso un attimo al di la di registi apprezzati anche all'estero come Sorrentino ( che però fa un tipo di cinema che, diciamolo, non è per tutti, non è facilmente assimilabile e a volte neanche godibilissimo), ci sono oggi delle speranze per il cinema tricolore. Penso a Garrone, al Papaleo di "Basilicata coast to coast ", alla opera prima del giovane Pif , il delicatissimo "La mafia uccide solo d'estate", tutti registi che hanno saputo raccontare delle belle storie, divertenti, drammatiche o fantastiche, ognuno con un proprio originale stile.
Non tutto è perduto quindi, di fantasia ne abbiamo ancora, di storie siamo circondati, resta da capire se abbiamo ancora voglia di raccontare con onestà e grazia e soprattutto se abbiamo la voglia di meravigliarci ancora. Io direi di si,voglio meravigliarmi ancora, quindi se non ti spiace, continuo a guardare le foglie e intanto aspetto...
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